Veracruz, non a caso un porto, è la location dell’odissea di Ramin, trentenne iraniano in fuga dalle persecuzioni antigay. In questa terra di mare e di genti, di differenze e contaminazioni, di storie “altre” e vite senza confini, labili, senza granitiche identità e certezze ideali, la registra segue con sapiente e complice empatia il calvario del disperso protagonista che – dapprima solo, alienato, straniero ed impaurito, – giunge poi ad una personale consapevolezza accettando se stesso ed il nuovo con relative opportunità. In un mondo di profughi ed alienazioni estranianti questo film con occhi di donna segna con ottimismo la rotta per Itaca: talvolta basta un sorriso, una abbraccio, uno sforzo per capirsi nonostante lingue e culture diverse ed il pianeta diventa un porto sicuro. Anche per i gay.
The port of Veracruz is the location of the odyssey of Ramin, a thirty-year-old Iranian fleeing the anti-gay persecutions. In this harbour, people coming from all over the world share their stories where identities and and borders are not fixed.
The director follows with measured and patient empathy the ordeal of the protagonist who moves from being alone, alienated and foreign to becoming aware that only accepting himself, he will be able to catch new opportunities.
In a world of refugees and alienations, this film marks the route to Ithaca with optimism: a smile, a hug, an effort to understand each other despite different languages and cultures is the key to transform the planet in safe harbour. Even for gays.